A Novembre, il maiale nella tradizione del Campidano di Oristano


foto da Wikipedia

A novembre, nel Campidano di Oristano, dove la civiltà rurale era dominante fino alla metà del secolo scorso, era tempo di macellare il maiale. I frigoriferi non c’erano e bisognava aspettare i primi giorni freschi. Durante l’estate erano venuti i venditori di sale, con i carri, a vendere sa saoca, un sale di grana media che serviva per conservare i cibi. Notare che nella borgata marina di Putzu Idu, in comune di San Vero Milis, vicino a Sa Salina Manna c’è via Sa Saocca. L’unità di misura per vendere il sale era l’imbuto (imbudu o mialla). Ogni famiglia aveva il maiale. I più poveri, che non potevano permettersi di acquistare il maialetto già grandicello, ne compravano uno dal proprietario di una scrofa che ne aveva molti e lo allevavano come un bambino. Riempivano una caffettiera di latte di pecora e sul beccuccio mettevano uno straccio. Il lattonzolo attaccava il grugno al beccuccio e beveva come dal capezzolo della mamma, fino a quando non era in grado di nutrirsi di pappette di farina, di crusca e poi di fave secche.  Da grande avrebbe mangiato fichi d’india, avanzi della tavola e sa oiota, il siero della ricotta. Certi maiali mangiavano tutto, anche i fichi d’india con la buccia (procu de barra bella). Una ventina di giorni prima della macellazione, per rendere la carne più tenera e dolce, gli davano da mangiare ceci. Prima di ucciderlo gli tagliavano le setole (sa tzudda), specie quelle del dorso, più lunghe e resistenti, e le vendevano per fare spazzole e pennelli. Poi arrivava l’esperto, una persona pratica che non facesse soffrire l’animale. Si diceva anche che meno l’animale soffriva più la carne era buona. Col sangue si riempiva la parte più grossa dell’intestino per fare il sanguinaccio, che poteva essere salato o dolce (con l’uva passa). Lo si faceva bollire e diventava solido, poi si metteva sulla graticola ad abbrustolire. Gli ossi, a cui rimaneva attaccata un po’ di carne, si salavano con sa saoca (compresa la testa, di cui però si mangiava subito la lingua e il cervello) e sarebbero serviti per condire il minestrone durante l’inverno. Bisognava consumare tutta la carne sottosale, comprese le cotenne e le zampe entro giovedì grasso (giobia de ladraiobu). L’intestino, lavato con acqua e aceto, si riempiva di carne e lardo a pezzetti per fare la salsiccia. Prima la salsiccia si faceva con il coltello, poi son venuti i tritacarne. Le parti migliori del lardo, i fianchi, si salavano (is ladreris). Il fegato, il cuore, la milza e gli altri organi interni erano abbondanti  e bisognava consumarli freschi, per cui si facevano is mandadas, cioè si mandava un piatto a parenti e amici che avrebbero restituito sa mandada una volta macellato il loro maiale (pratu torrau). Il filetto diventava petza imbinada, carne a bagno nel vino e un poco d’aceto, con sale e semi di finocchio selvatico (mata faluga). La coda era una prelibatezza. Il fegato si arrostiva con l’alloro, avvolto nel peritoneo (sa napa), la sottile membrana che riveste la cavità addominale, che da sola è abbastanza insignificante (vedi locuzione: tontu che napa) ma è utile per arrostire il resto. I maialetti piccoli si arrostiscono interi dopo averli puliti con l’acqua bollente. Ora sono bianchissimi, prima si facevano insanguitaus, cioè li coloravano di un bel rosso vivo e lucido cospargendoli del loro stesso sangue e li tenevano aperti con delle cannette. Oggi non è più permesso. La parte interna del grasso del maiale, le sugne, venivano sciolte, fatte a tocchetti e messe in una casseruola al caldo, e si usavano per fare su pani cun gedras, il pane coi ciccioli. Il grasso colato (s’oll’e procu) si conservava per condire minestroni, pastasciutta, sugo. A carnevale si usava per fare sa pasta violada, is pillus frittus, cioè le frittelle dolci di farina impastata con lo strutto. Insomma, il maiale era una riserva, un vero e proprio investimento. Sarà un caso che molti salvadanai hanno la forma del porcellino? Magari ne parleremo un’altra volta.

Articolo scritto per il settimanale L’Arborense

Un pensiero su “A Novembre, il maiale nella tradizione del Campidano di Oristano

  1. Complimenti per l’articolo.
    Il giorno de sa bocimenta de su procu era una grande festa. Si organizzava un grande pranzo, naturalmente a base di maiale.
    In marmilla sa mandada veniva chiamata su presenti.

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